22/10/2018. Višegrad è una cittadina della Bosnia orientale che ha vissuto, a partire dalla primavera del 1992, sotto un regime del terrore e dell’orrore comandato da un gruppo di paramilitari guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić. I due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Il 22 ottobre del 1992 sedici musulmani-bosniaci, quindici uomini e una donna, in viaggio per motivi di lavoro, sono rapiti sull’autobus di linea serbo che viaggiava da Sjeverin a Priboj, in Serbia. L’autobus viene fermato dal gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle Aquile bianche, al comando di Milan Lukić, a circa due chilometri dalla cittadina serbo-bosniaca di Rudo. Dopo aver controllato i documenti di tutti i passeggeri, i paramilitari ordinano ai “non-serbi” di scendere dal mezzo. I bosniaci saranno caricati su un camion davanti al bar Amfora, brutalmente torturati nell’hotel Vilina Vlas, portati sulla riva della Drina, uccisi e i corpi gettati nel fiume. L’unico musulmano sull’autobus a salvarsi è Admir Đikić, 13 anni, che ha la prontezza di riflessi di nascondersi dietro Ilija e Desa Kitić, una coppia di serbo-bosniaci, che gli salvano la vita dichiarandolo loro figlio. La strage dei passeggeri di Sjeverin è il primo caso in cui i paramilitari serbo-bosniaci assassinano non dei musulmani-bosniaci, ma dei musulmani cittadini serbi. Per i fatti della cosiddetta strage di Sjeverin a oggi sono stati condannati solo quattro responsabili, ovvero Milan Lukić, che ha avuto l’ergastolo per la somma dei suoi crimini, Dragutin Dragićević e Oliver Krsmanović, cui sono stati comminati vent’anni di carcere, e Đorđe Šević, che ha avuto quindici anni.
Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Purtroppo il nome di Rudo continua a essere associato a quest’episodio spaventoso – esordisce Rato Rajak, sindaco di Rudo – ma noi non abbiamo nulla a che fare con questo crimine. Il gruppo delle Aquile bianche ha catturato un gruppo di persone che si stava recando al lavoro a bordo di un autobus che faceva la spola sulla linea Rudo-Priboj. Le vittime erano tutte del villaggio di Sjeverin, distante appena un paio di chilometri dal centro di Rudo, ma in realtà appartenente al comune di Priboj”, cittadina serba lungo il corso del fiume Lim. “Le vittime si stavano recando a lavorare da Sjeverin a Priboj, dove a quel tempo era attiva una grande fabbrica metalmeccanica. Da allora noi portiamo il peso e il dolore di quell’episodio – continua il sindaco –. D’altronde, poiché anche io ero un ufficiale dell’esercito della Republika Srpska di Bosnia, posso dire d’essere ancora oggi in contatto con soldati musulmani-bosniaci che combattevano dall’altra parte. Spesso parliamo di tutto quel che è successo. Se andate a Goražde e chiedete ai bosniaci di lì dei soldati serbo-bosniaci nemici che combattevano nei comuni confinanti, tutti vi metteranno per iscritto che quelli di Rudo erano diversi dagli altri. Perché noi di Rudo non abbiamo mai permesso a noi stessi e ai nostri concittadini di sporcarsi le mani con atrocità ma abbiamo sempre tenuto alto il nostro onore di soldati. Goražde è stata a lungo sotto l’assedio delle forze serbe, al quale hanno partecipato anche i soldati di Rudo. Ma nella zona sotto la responsabilità dei soldati di Rudo, non abbiamo mai sparato su persone o bersagli civili. Oggi abbiamo ottimi rapporti con il Comune di Goražde e il nostro gruppo folkloristico, famoso in tutta la ex Jugoslavia, partecipa al loro festival del folklore. E quando in sala entrano i nostri artisti, tutti scandiscono con gioia la parola ‘Rudo! Rudo!’. Purtroppo la guerra è qualcosa di sporco. Si sono verificati singoli crimini, subìti anche dalle famiglie serbe, commessi da persone che non è possibile forse neppure considerare esseri umani. A subire sono sempre stati i civili nei villaggi di confine, ora i musulmani-bosniaci, ora i serbo-bosniaci. Da noi per fortuna i crimini commessi sono stati pochi e i più gravi sono stati senza dubbio quelli perpetrati a Sjeverin e a Štrpci”.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)
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